Il volto di quella donna che non si arrendeva, 

ma custodiva la certezza di vincere, 

è il più bello che io abbia mai visto, il più vivo. 

Ha mai osservato il viso silenzioso di una donna che lotta, 

l’ha mai guardato a un comizio, a un corteo? 

La perdita dell’apatia, 

di una rassegnazione senza speranza, 

dà alla donna una nuova bellezza, 

una femminilità nuova e più consapevole 

forse non ancora del tutto scoperta. 

Ma lei provi a osservarla.

(Nilde Iotti, “Epoca”, 28 luglio 1979) 


Il passato è indistruttibile 

prima o poi tornano tutte le cose 

e una delle cose che tornano 

è il progetto di abolire il passato.

(J.L. Borges, Altre Inquisizioni)


di Fabio Calè

Leonilde Iotti, detta Nilde, nasce nel 1920, da Egidio Iotti, ferroviere socialista e seguace di Camillo Prampolini, e Alberta Vezzani, casalinga appassionata alla lettura. 

I due si erano sposati nel 1908, ma non in chiesa; alla sua nascita hanno rispettivamente 48 e 39 anni. Nilde non è la loro prima figlia: due fratelli e una sorella erano morti prematuramente. 

Di qui una infanzia non agiata, felice, molto protetta, complicata dalle vicissitudini del padre: nel 1923 viene licenziato per scarso rendimento, in verità colpito da un repulisti di matrice politica, con cui i fascisti intendono isolare e stroncare qualsiasi volontà di opposizione. Mantiene il diritto alla pensione, pur ridotta di un decimo, avendo cominciato a lavorare da adolescente. La famiglia riesce, nonostante le ristrettezze, ad andare avanti e a garantire alla figlia un’istruzione superiore, presso l’Istituto Principessa di Napoli, una scuola magistrale. 

Egidio Iotti muore nel 1934, lasciando la famiglia in condizioni economiche ancora più difficili.

Da ragazza frequenta il circolo femminile dell’Azione Cattolica; suo cugino Valdo Magnani, di 8 anni più grande, è anch’egli attivo nell’associazionismo cattolico (fino a diventare presidente del circolo diocesano cittadino; poi, nel 1936, si iscrive al Pci). 

Si diploma nel 1938, ma anziché seguire il percorso già delineato verso l’insegnamento elementare, Nilde beneficia di una borsa di studio riservata dalle Ferrovie agli orfani dei dipendenti, per cui ha la possibilità di iscriversi a Magistero, e lo fa alla Cattolica di Milano. 

Comincia così un percorso che le richiede il massimo impegno, data la condizione di pendolare e la necessità di superare la media del 27 per mantenere l’esenzione dalle tasse universitarie; inoltre, continua a contribuire al bilancio familiare dando lezioni private, come avveniva già dalla morte del padre in poi. 

E’ proprio alla Cattolica che la sua fede entra in crisi: “Più approfondivo i libri fondamentali della religione e più mi accorgevo che la mia razionalità era più forte della fede”. Si sottopone anche agli esercizi spirituali ad Assisi, ma non supera i suoi dubbi. Il 31 ottobre 1942, in una Milano severamente colpita dai bombardamenti del finesettimana precedente, discute la sua tesi di laurea: L’attuazione delle riforme in Reggio Emilia nella seconda metà del secolo XVIII. 

All’inizio del 1943 comincia a insegnare Lettere presso l’Istituto tecnico Secchi di Reggio Emilia. Nei primi mesi dell’anno che vede definitivamente cambiare le sorti della guerra e del regime, si intensificano le attività degli oppositori locali: da una parte l’antifascismo di matrice cattolica, attivo a Reggio anche attraverso una sua insegnante delle magistrali, Lina Cecchini, che partecipa a conferenze clandestine in cui parlano alcuni professori della Cattolica (Corghi, Dossetti, La Pira); dall’altra quello comunista, che a Reggio era stato ricostruito all’inizio degli anni 30 da Teresa Noce e al quale aveva aderito l’avvocato Giannino Degani. 

Dopo il primo bombardamento su Reggio Emilia, il 17 luglio 1943, Nilde e la madre decidono di rifugiarsi vicino ai parenti, a Cavriago.

Comincia a partecipare alle attività dei Gruppi di Difesa della Donna, nati a Milano e a Torino nel novembre del 43 su iniziativa del Pci, in un clima sempre più teso e drammatico: in dicembre vengono fucilati i fratelli Cervi, nel gennaio del 44 i bombardamenti degli Alleati radono al suolo le Officine Reggiane e la stazione ferroviaria, mietendo 266 vittime; viene assassinato don Pasquino Borghi, sacerdote reggiano figlio di contadini e attivo sostenitore della Resistenza. 

Iotti stessa racconta la sua partecipazione alla Lotta di Liberazione come un’esperienza non in prima linea, un avvicinamento graduale dettato da una forte indignazione e dalla spinta a rendersi utile, a scegliere la propria parte in un contesto in cui l’esempio dei molti partigiani uccisi, buona parte dei quali comunisti, esercitava certamente una forte influenza. In questo processo di acquisizione di una coscienza politica, il discorso di Togliatti dell’aprile 1944, passato alla storia come la Svolta di Salerno, rappresenta uno spartiacque. 

L’8 marzo del 1945, per la prima volta dall’avvento del fascismo, viene celebrato da tremila donne che invadono le strade della provincia, protestando per la penuria di generi di prima necessità. Il 13 aprile, prova generale di insurrezione nella provincia reggiana, di nuovo migliaia di donne e studenti scendono in piazza e rafforzano il segnale inequivocabile che il nemico nazi-fascista è isolato.

Il 21 agosto del 1945 Nilde Iotti firma il suo primo articolo per “Noi Donne”, organo dell’Unione Donne Italiane: La vittoria più grande. In quel medesimo giorno il prefetto Pellizzi, in seguito a una protesta di donne sotto le finestre del suo palazzo, decide di procedere alla nomina dei rappresentanti dei partiti in seno alla struttura dell’ex-Sepral (Sezione provinciale dell’alimentazione). Questi decidono subito di includere rappresentanti del movimento femminile, sicché l’Udi indica Nilde Iotti e il Cif (Centro italiano femminile, l’organizzazione delle donne cattoliche da poco distintasi dall’Udi) designa Maria Carassiti. 

Il prefetto incontra prima Iotti, rimanendo colpito dalla personalità della giovane professoressa. Di lì a pochi mesi Iotti viene eletta segretaria dell’Udi di Reggio Emilia, continuando a svolgere un ruolo centrale nelle attività di assistenza organizzate in un clima di sostanziale accordo con le organizzazioni cattoliche, pur non mancando le prime forti tensioni ideologiche a livello nazionale e una tendenza a distinguere la matrice ideale di riferimento (solidarietà versus carità, in estrema sintesi). Tra queste assume un significato particolare l’ospitalità offerta a 1500 bambini milanesi, attraverso la costituzione di un Comitato in cui entrano rappresentanti di tutte le forze politiche della sinistra, delle associazioni e delle istituzioni, a parte la DC e il Cif: iniziativa ispirata da Teresa Noce e partita dalla federazione comunista milanese in collaborazione con l’Udi, e dunque prima esperienza di Iotti a stretto contatto con l’organizzazione di partito.

Con l’8 marzo 1946 arriva il suo primo comizio.

Iotti si presenta alle amministrative del 1946, che a Reggio Emilia si tennero il 31 marzo, come candidata indipendente nelle liste del PCI: eletta con 26 preferenze e 9 cancellature. Pochi mesi dopo, candidata all’Assemblea Costituente, le preferenze si moltiplicano, ma non è questo a sollecitare la sua attenzione, come testimonia l’articolo pubblicato in occasione del 40° anniversario dell’evento.

L’identikit di Iotti (giovane, donna, intellettuale) corrispondeva perfettamente alle caratteristiche che il PCI cercava nell’intento di allargare la sua base sociale, e che erano scarsamente diffuse nella dirigenza del PCI reggiano. Nelle settimane che precedono il 2 giugno se ne trova conferma nel rapporto che la federazione di Reggio invia a Roma per dar conto della Festa delle rose, iniziativa promossa da Udi e PCI per coinvolgere le donne di tutti i ceti e gli orientamenti, con cui Iotti dimostra non solo di saper replicare il modello appena nato delle feste de l’Unità, ma di anticipare alcuni sviluppi che prenderanno piede definitivamente solo diversi anni più tardi.

Con l’elezione alla Costituente, e il suo inserimento nella Sottocommissione dei 75, Iotti si ritrova catapultata nella grande politica, a stretto contatto con i protagonisti della storia del Paese; tra questi, Palmiro Togliatti, in quei mesi impegnato a dare solide fondamenta al suo progetto di partito nuovo, che nonostante la grande crescita organizzativa era ancora lontano dall’essere pienamente acquisito dalla base e dalle federazioni locali. 

Fin dai primi giorni di quell’esperienza straordinaria, Iotti non passa inosservata.

Nella Commissione dei 75 si vede assegnare come relatrice il tema della famiglia, avendo come co-relatore Camillo Corsanego, già dirigente del vecchio partito popolare, esperto di diritto ecclesiastico, professore universitario, avvocato, molto vicino al Vaticano. Affronta subito, quindi, una sfida ad alto livello su temi delicatissimi: Iotti si batte per la parità tra uomo e donna, nella società e all’interno della famiglia; nonostante non riesca a vincere su tutta la linea comunque qualche breccia si apre, come testimoniano gli interventi di Dossetti a favore della parità salariale, e anche, in polemica con Leone, delle democristiane Angela Gotelli e Maria Federici a favore dell’accesso delle donne alla magistratura. Altri temi discussi sono la parificazione tra famiglie legittime e illegittime, che passa solo in parte proteggendo “l’integrità del patrimonio” (dei figli legittimi); l’indissolubilità del matrimonio. 

La costante è rappresentata dall’esigenza di non rompere con la DC, sia per gli obiettivi di lungo termine – la democrazia progressiva, l’incontro delle grandi tradizioni popolari – che per non permetterle di “iniziare nel Paese una grande battaglia contro di noi dicendo che vogliamo dissolvere la famiglia”, afferma Togliatti. Tuttavia, l’articolo pubblicato su “Rinascita” in cui Iotti delinea la sua impostazione programmatica dimostra come, accanto all’obiettivo di non rimanere schiacciati dalla propaganda avversaria rivolgendosi a tutto il popolo italiano, non manchi il coraggio di affermazioni nette e certamente non prone ai dettami della chiesa di Pio XII.

Conclusa l’esperienza della Costituente, la candidatura di Iotti alle elezioni politiche del 1948 non è scontata come può apparire in virtù del ruolo svolto nella redazione della Carta costituzionale: non è solo la relazione con Togliatti, clandestina ma ormai ben nota, ad incidere, bensì anche le tensioni irrisolte tra vecchia e nuova generazione all’interno del Pci, a maggior ragione nel contesto di Reggio Emilia.

Le elezioni del 1948 segnano una sconfitta netta del Fronte popolare, anche a Reggio Emilia: Iotti viene eletta con 51.340 preferenze, ma la lista a Reggio perde oltre il 12%. 

Si apre quindi una fase durissima per il Pci: viene approvato il Piano Marshall, mentre la delegazione jugoslava viene condannata dal Cominform per deviazionismo. 

Iotti, nel frattempo, pone al centro del suo primo mandato parlamentare l’impegno per la legge sulla tutela della maternità.

La mattina del 14 luglio 1948 è accanto a Togliatti quando il segretario del Pci viene colpito da diversi colpi di pistola, l’ultimo dei quali manca il bersaglio anche per il gesto istintivo di Iotti, che si getta in terra per proteggere il corpo del suo compagno. Ciò che accade immediatamente dopo la riporta alla sua condizione di “intrusa”: arriva a Roma Rita Montagnana accompagnata dal figlio Aldo; Stalin pone sotto accusa la vigilanza e Secchia si difende alludendo alla vita privata del segretario; la diffidenza che la circondava si infittisce.

L’anno successivo, tuttavia, la coppia riesce finalmente a lasciare l’abbaino del palazzo di Botteghe Oscure dove si erano provvisoriamente sistemati e a trasferirsi in un appartamento a Montesacro. Nel 1950, in seguito all’eccidio di Modena, Togliatti e Iotti decidono di adottare Marisa Malagoli, la sorella più piccola di Arturo, una delle sei vittime uccise dalla polizia. Nasce così la “strana famiglia”, dentro la quale Togliatti e Iotti possono finalmente godere di una vita affettiva piena e gratificante. 

Negli anni 50 Iotti si concentra sui temi della tutela della maternità, della pedagogia e su una proposta forte, quella della pensione per le casalinghe, che troverà una sua definizione, non pienamente soddisfacente, nel 1963. Le politiche concernenti l’emancipazione e la parità subiscono una parziale battuta d’arresto, in un decennio caratterizzato da forti scontri di classe e da tensioni internazionali che, con il 1956 e i fatti di Ungheria, sembrano porre a rischio la linea di autonomia del Pci nei confronti di Mosca.

Il partito comunista affida alle donne un ruolo di primo piano nella battaglia per la pace, relegando l’emancipazione femminile, e in particolare tutte le questioni concernenti il “costume”, ad un futuro più o meno lontano nel quale, realizzato il socialismo, tutte le questioni inerenti l’uguaglianza avrebbero trovato una soluzione definitiva e coerente. Nel frattempo, si tratta di lavorare in profondità per costruire il dialogo più fluido possibile con il mondo cattolico, individuando nel diritto al lavoro il terreno su cui si possono trovare intese e produrre risultati. 

All’inizio del decennio l’Udi affida a Iotti la responsabilità della propaganda, ma sorgono incomprensioni e dissensi non solo sui margini di autonomia del suo ruolo, quanto sulla funzione stessa dell’Udi rispetto al Pci. L’Udi va a congresso nel 1953, e Iotti ne esce membro della segreteria e del direttivo; prende parte anche alle discussioni della segreteria del Pci che precedono il congresso, dove segnala che uno dei problemi dell’Udi è l’eccesso di politicizzazione. In quegli anni cominciano ad affiorare temi propri di una nuova generazione, come accade alla conferenza delle ragazze comuniste, nel 1954; ma sono soprattutto le riviste, Noi Donne e Vie Nuove, a spingersi oltre con inchieste inedite sulla condizione femminile, sollevando il velo anche su questioni quali la contraccezione, il reato di adulterio, la pillola e, sul finire del decennio, il cosiddetto “piccolo divorzio”.

Udi e Pci affrontano una fase di riorganizzazione che passa attraverso la seconda conferenza nazionale delle donne comuniste del 1955, il congresso dell’Udi del 1956; non cambiano i fondamentali della linea politica perseguita, ma persistono differenze di visione in merito al rapporto tra partito e associazionismo e sulla impostazione di fondo che concerne la parità e l’emancipazione

Dopo le elezioni del 1958, nelle quali solo 22 donne vengono elette in parlamento, ulteriori appuntamenti congressuali e dibattiti riaprono la questione; Iotti segnala il ritardo del partito e l’inadeguatezza dei suoi strumenti, di fatto ponendo la propria candidatura a dirigere le donne comuniste. Viene eletta nel corso del 1961, ma la decisione passa attraverso un processo lungo e non privo di difficoltà e obiezioni, dalle quali emerge il persistere di un’atmosfera di scetticismo nei suoi confronti. Iotti comincia subito il lavoro di preparazione per la III conferenza delle donne comuniste, tenutasi il 30 marzo 1962, e preceduta dalla sua prima intervista ufficiale come responsabile della Commissione femminile nazionale sulle colonne de l’Unità. Consapevole della complessità del suo nuovo ruolo, Iotti aggiunge qualche cautela in più nelle sue argomentazioni, e tuttavia non fa sconti né al proprio partito e ai suoi ritardi, né all’interlocutore politico principale, vale a dire il movimento femminile della DC, che proprio in questa occasione apre una polemica nei suoi confronti. Ciò non significa, tuttavia, deflettere dall’obiettivo strategico di parlare a tutte le donne, come testimonia il confronto avvenuto tra lei e il filosofo Umberto Cerroni in occasione di un seminario dell’Istituto Gramsci, del maggio 1964, dedicato a “Famiglia e società nell’analisi marxista”, e un suo intervento su “Rinascita” a proposito del VII congresso dell’Udi.

Nel 1963 viene approvata la legge che regolamenta l’ammissione delle donne ai pubblici uffici, e Marisa Rodano, prima donna nella storia italiana, viene eletta vicepresidente della Camera. Segnali di apertura e cambiamento che certamente incoraggiano Iotti nel suo nuovo ruolo, dirigente a pieno titolo del partito e capace di lì a poco di impostare da protagonista la lunga stagione delle riforme che troveranno attuazione negli anni 70.

Nell’agosto del 1964, a Jalta, Iotti viene colpita dal dolore più grande”. Togliatti, giunto con la famiglia in Crimea in attesa di un incontro chiarificatore con Krusciov, viene colto da un ictus durante una visita ai pionieri del campo di Artek. Iotti e Marisa continuano a lavorare alla redazione del Memoriale”. Pochi giorni dopo, Togliatti muore. Chiamata a fare i conti con una “ferita aperta” che non si rimarginerà mai, Iotti aggiunge alla funzione politica che esercita in prima persona una funzione simbolica, di custode della memoria del segretario del Pci, che vorrà e saprà gestire sempre con grande equilibrio, riserbo e dignità.

Fin dalla metà degli anni 60 il dibattito sul divorzio cambia marcia: l’iniziativa assunta da socialisti, liberali e radicali non segue l’impostazione dialogante e gradualista del Pci, preoccupato non solo delle reazioni cattoliche di vertice, del Vaticano e della DC, ma soprattutto del rischio di uno scontro lacerante nel vivo della società italiana, inclusa una porzione dello stesso elettorato comunista. Tuttavia, a fronte di questa accelerazione, proprio Iotti assume un ruolo sempre più centrale, cercando di far coesistere, fin dove possibile, l’esigenza di non cedere l’iniziativa alle forze laiche, quella di non pregiudicare il dialogo con il mondo cattolico, e, soprattutto, il conseguimento dell’obiettivo. Se fino a quel momento le donne comuniste avevano deciso di affrontare la questione dello “scioglimento del matrimonio” all’interno di una riforma complessiva del diritto di famiglia, Iotti dichiara, dalla tribuna del XI congresso del Pci, nel 1966, che al dunque i comunisti non si sarebbero tirati indietro e avrebbero votato la proposta Baslini-Fortuna, pur emendandola dove necessario. Da quel momento il Pci assume un atteggiamento più determinato, contribuendo a smontare la manovra governativa del progetto Reale, che mirava a dilatare i tempi della discussione all’infinito. Viene presentato un autonomo progetto di legge, a firma Spagnoli-Iotti, nel 1967, e i comunisti danno battaglia anche nel lungo iter parlamentare che precede l’approvazione della legge, il 1° dicembre del 1970. 

Il 25 novembre del 1969 Iotti pronuncia, secondo il Presidente Napolitano, “probabilmente il più alto, il più impegnativo, il più ricco culturalmente e politicamente” dei suoi discorsi parlamentari. 

Comincia correggendo i democristiani due volte: prima rispetto alle loro affermazioni sul presunto fondamento giusnaturalistico della Costituzione italiana, richiamando efficacemente il dibattito relativo alle proposte di preambolo alla Costituente; poi sulla strumentalizzazione del concetto di famiglia come “società naturale”, ricordando loro che tale definizione fu proposta dai comunisti, concepita non certo come un’affermazione ideologica, bensì come il “riferimento a un fatto naturale e storico”, e smentendoli con una citazione di Aldo Moro, sempre dal dibattito della I Sottocommissione. 

Affrontando il cuore del problema, Iotti discute le argomentazioni degli avversari del divorzio, ponendole in contraddizione con i principi stessi che guidano, o dovrebbero guidare, le loro convinzioni: così sui sentimenti e la moralità, così sulla condizione dei figli. Infine, in sede di dichiarazione di voto, poi nuovamente in occasione del secondo dibattito dopo il passaggio al Senato, risponde direttamente ad Andreotti, che era arrivato a dirsi nostalgico del Togliatti che aveva votato l’articolo 7, e a tutti coloro che avevano assunto un atteggiamento di sfida basato sulla certezza di una dichiarazione di incostituzionalità della legge, o di una vittoria in un eventuale referendum

Dopo l’approvazione della legge, dunque, comincia un nuovo, duro confronto, questa volta fuori dal Parlamento. Alcuni dirigenti del Pci, a proposito della prospettiva referendaria, condividono la preoccupazione della Iotti per le potenziali lacerazioni nel tessuto della società italiana, ma a differenza di lei vi aggiungono la convinzione, o almeno il timore, di andare incontro a una sconfitta, e si impegnano a fare il possibile per evitare la consultazione popolare. Iotti è naturalmente protagonista della campagna referendaria: insiste su un approccio che rivendichi certamente la concezione della famiglia di cui i comunisti sono portatori, ma che ponga sempre al centro la realtà di fatto sulla quale la legge interviene, per scardinare il confronto sui dogmi e portare al centro del dibattito i problemi concreti vissuti dalle famiglie, dalle donne, dai figli. Inoltre sottolinea il significato politico generale della battaglia in corso, affinché l’obiettivo di evitare lacerazioni nel tessuto della società italiana sia compreso e condiviso, anche nel vivo della campagna referendaria, in maniera da non ledere la strategia complessiva del Pci. 

Dopo la vittoria del No al referendum sul divorzio, la riforma del diritto di famiglia è approvata in tempi brevi, costituendo per il Paese uno dei passi avanti più significativi del decennio e per Iotti il punto d’arrivo di una lunga battaglia politica cominciata nella Resistenza e nella Costituente

All’inizio del decennio Iotti aveva lasciato l’incarico di responsabile femminile del PCI, sostituita da Adriana Seroni. Consapevole della necessità di un ricambio generazionale che in quegli anni investiva l’insieme del partito, Iotti segue anche il richiamo di un impegno nelle istituzioni che si fa sempre più complesso e significativo: dalla vicepresidenza della Camera nel 1972 alla presidenza della Commissione affari costituzionali nel 1976, fino al culmine dell’elezione alla Presidenza della Camera dei Deputati nel 1979, senza dimenticare il ruolo di membro della delegazione italiana al Parlamento europeo, che dal 1969 la impegnerà per dieci anni permettendole di esplicare una passione per la politica internazionale, e una convinta vocazione europeista, cui saprà dar seguito, in maniera innovativa, una volta assurta alla terza carica dello Stato. 

Alla battaglia per l’aborto, invece, Iotti partecipa da posizione più defilata, e vive anche un rapporto difficile, a tratti conflittuale, con il movimento femminista degli anni 70, o almeno alcune sue espressioni più radicali. Refrattaria, come tutto il PCI, a uno scontro frontale con il mondo cattolico, a maggior ragione nel contesto del compromesso storico e della solidarietà nazionale, Iotti è tuttavia impegnata a smussare gli eccessi di rigidità del suo partito e a favorire una soluzione che tenga insieme libertà e autodeterminazione della donna con quel principio di responsabilità che costituisce il filo conduttore del suo impegno politico. Di fronte alla sfida referendaria, come già in occasione del divorzio, sarà lei a mostrare di conoscere le trasformazioni che avevano investito la società italiana meglio di diversi suoi compagni di partito

Il 20 giugno 1979 Nilde Iotti è eletta Presidente della Camera al primo scrutinio, con 433 voti su 615 presenti e votanti. Nel suo discorso di insediamento, conciso eppure esaustivo nell’indicare i caratteri principali della nuova legislatura, non nasconde l’orgoglio di essere la prima Presidente donna della storia della Repubblica, e subito dopo sottolinea la dignità democratica del Parlamento a fronte della quotidiana minaccia costituita dal terrorismo. Dopo aver richiamato “l’eccezionale importanza” della recente elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo e la firma dell’accordo “Salt II” tra USA e URSS, si impegna ad osservare “la più assoluta imparzialità, nella rigorosa applicazione del regolamento in ogni sua parte, per la tutela in primo luogo dei diritti delle minoranze, ma anche per la tutela del diritto-dovere della maggioranza di legiferare”. 

La riforma del regolamento parlamentare, condotta in porto lungo l’arco dei suoi tre mandati, si caratterizza in particolare per le misure intese a contenere la pratica dell’ostruzionismo, per l’introduzione della sessione di bilancio, con cui finalmente l’esercizio provvisorio tornò a essere un’eccezione, e per la nuova disciplina del voto segreto. Nell’insieme, emerge un disegno orientato ad affermare la centralità del Parlamento attraverso una ridefinizione dei suoi meccanismi decisionali, tale da rafforzarne efficienza e funzionalità

A fianco di questo percorso di innovazioni regolamentari, Iotti si impegna perché siano affrontati i nodi strutturali che solo una riforma della seconda parte della Costituzione può sciogliere. Pienamente consapevole delle priorità da affrontare, segue il lavoro della Commissione Bozzi, richiama più volte l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica sulla necessità di intervenire prima che la disaffezione dei cittadini verso le istituzioni prenda il sopravvento. Nella legislatura 1992-94, non più Presidente della Camera, assume in prima persona nel 1993 il compito di dirigere i lavori della Commissione bicamerale già presieduta da De Mita, compiendo in meno di un anno un generoso tentativo di presentarne i risultati in un progetto “organico ma non compiuto”, che potesse tornare utile in futuro. 

La sua lealtà istituzionale e imparzialità politica sono messe ripetutamente alla prova durante i suoi tre mandati da Presidente, in particolare in occasione del durissimo scontro sulla scala mobile, tra il 1984 e il 1985, che vede da una parte il PSI incline a rivendicare la presidenza alla maggioranza di governo, e dall’altra il PCI impegnato in una opposizione senza quartiere che comporta momenti di tensione sia all’interno dello stesso gruppo parlamentare, guidato da Giorgio Napolitano, sia con la presidenza. 

Proprio in virtù del suo percorso politico limpido e lineare, della sua capacità di analizzare i problemi con lucidità e cogliere le opportunità di far avanzare concretamente la democrazia, senza mai venir meno all’ispirazione di fondo dei suoi ideali politici e dei principi della Costituzione, Iotti è accompagnata fin dai primi giorni della Presidenza da un affetto e una popolarità che dimostra di saper gestire con oculatezza, soprattutto dopo che, non senza sorpresa, un sondaggio del 1981 a cura della Doxa ne certifica la prima posizione tra le figure femminili più gradite alle italiane

Questo insieme di qualità politiche e morali contribuiscono a definire una personalità politica dotata di carisma e prestigio indiscutibili, ed anche così si spiegano l’incarico esplorativo conferitole dal Presidente Cossiga nel 1987 e la sua candidatura al Quirinale da parte del PDS nel 1992. 

Gli ultimi anni della sua presenza in Parlamento, oltre che per l’impegno sulle riforme, si caratterizzano per pochi ma significativi atti con i quali Iotti rompe il riserbo e la volontà di non fare ombra ai nuovi protagonisti della scena politica. Si dimette due settimane prima di morire, il 4 dicembre del 1999. Nel cordoglio generale delle istituzioni e di tutto il mondo politico, assume ancora un volta un rilievo speciale la reazione spontanea, immediata del popolo italiano, e in particolare di una generazione che, almeno in teoria, avrebbe dovuto esserle distante